CASTELLI MALEDETTI
C’è un castello eretto tra l’XI e il XII secolo nel paese di Belveglio, in quella che anticamente è stata battezzata come la Terra dei Malamorte. La costruzione sovrastava l’allora villaggio da una collina di tufo, ma, a vederla dal basso, chiazzata dalle ombre del fogliame a ridosso delle sponde del fiume Tanaro, ancora oggi sembra pronta a svettare verso il cielo con la prepotente postura di un cavallo imbizzarrito.
Il castello venne abitato
dal nobile Carlo Maria Matteo Farnese, duca di Parma e Piacenza, conte di
Ronciglione e nipote di papa Paolo III. Fuggito da Piacenza dopo la congiura
ordita da Ferrante Gonzaga (con cui quest’ultimo aveva spodestato suo padre
Pier Luigi Farnese trucidato dagli sgherri di Carlo V) e la conseguente
consegna della città nelle mani delle truppe spagnole, Matteo Farnese si era
arroccato nel castello di Belveglio, costruito ai confini con le sue terre,
insieme alla moglie Zeusa Ellenica. A fargli da scorta, un discreto numero di
uomini armati.
Verso la metà
del XVI secolo il castello venne posto sotto assedio dagli spagnoli che però
non trovarono vita facile nell’espugnare il maniero. Il palazzo nobiliare era
chiuso all’interno della cinta di mura possenti, in più le feritoie a croce per
i balestrieri, il muro di cortina con i bastioni e le saracinesche erano state
capaci di rendere inespugnabile quel luogo tanto da costringere gli spagnoli ad
un assedio che durò tre anni. La resistenza da parte degli assediati deve
merito anche della ricca rete di pozzi in grado di garantire l’acqua oltre ai
mille camminamenti segreti che consentivano continui rifornimenti di viveri
freschi. Ma alla fine il duca Matteo Farnese dovette cedere e il 15 marzo 1551
il castello capitolò. E a questo proposito le cronache del tempo narravano
anche altro. Ovvero, del trasferimento di un tesoro di sette tonnellate d’oro
in un luogo segreto ricavato nelle gallerie scavate sotto l’edificio. Ma con il passare del tempo e nonostante il gran
numero di ricerche (continuate peraltro fino agli inizi dei nostri anni
sessanta con l’ausilio anche di studiosi, medium e rabdomanti tanto da far
invidia agli archeologi hollywoodiani da Nicholas Cage con i suoi tesori dei
Templari fino alle spedizioni di Indiana Jones e similari di cui il cinema ci
ha riportato testimonianze in ogni parte del mondo) nessuno riuscì ad
impossessarsi dei preziosi, soprattutto a causa della mancanza di una mappa
dettagliata capace di fare luce sulla ragnatela sotterranea del castello fatta
di gallerie e locali. In più, all’epoca, i soldati che avevano provveduto
all’intera operazione erano i soli a conoscenza del nascondiglio, ma per
fedeltà nei confronti del duca Carlo Maria Matteo Farnese, si erano suicidati
dopo aver fatto crollare le gallerie d’accesso, così come aveva ordinato il
nobile prima di ingerire una dose di veleno insieme alla consorte.
Il soprannome Malamorte deriva probabilmente dai
violenti scontri e dalle sanguinose battaglie del passato, magari rafforzato
dal fatto che il castello per un certo periodo fu trasformato in carcere e
luogo di esecuzione di condanne a morte. Al tempo correva voce che i popolani
evitassero con cura di passare sotto il colle di Belveglio per timore di udire
lamenti, vedere fiamme o di incontrare i fantasmi di tutti coloro che erano
stati torturati nelle segrete, oppure impiccati con i loro corpi lasciati
imputridire sugli spalti e sulle vie d’accesso alla fortificazione. Con il
ritiro delle truppe spagnole si erano placate le lotte feroci per il controllo
del territorio ma il ricordo del sangue versato e le tante leggende sulle sorti
dello stesso castello turbavano gli animi dei più. In più restava in piedi il
mistero dell’inestimabile tesoro nascosto nei sotterranei infestati dalle anime
dannate di chi aveva subito il tormento della carne e una morte lenta e
terribile.
Senza
voler scomodare Il Castello di Otranto
di Horace Walpole (pubblicato nel 1794 e capofila del genere gotico) o le tetre
atmosfere del castello di Bran (sul confine tra la Transilvania e la Valacchia)
reso alla cultura popolare da Bram Stoker con il suo Dracula nel 1897, trovo che quella di Belveglio sia una storia
rappresentativa di mille altre, senza nulla da invidiare alle vicende dei
Cavalieri della Tavola Rotonda, agli sconfinamenti predatori dei Vichinghi in
terra inglese, o agli assalti di Giovanna d’Arco alle mura fortificate di
Parigi dopo assedi snervanti. Si lega perfettamente al ricco patrimonio di
castelli costruiti sul nostro territorio anche in zone impervie o
inaccessibili. E traccia in sé i mille ingredienti che fanno di ogni maniero un
perfetto collage di storia vera e leggenda, immagine emblematica di misteri più
o meno occulti che avvolgono la maggior parte di loro. Che dire in proposito?
Come esempio fra i tanti, posso citare quello del castello di Roccascalegna in
Abruzzo e dell’indelebile impronta di sangue della mano del barone ucciso da un
marito ribellatosi allo jus primae noctis, traccia che riappare ogni volta sui
muri nonostante i vari interventi di restauro succedutisi negli anni. Una
suggestione questa che lo rende luogo ideale per ambientazioni letterarie
horror e soprannaturali.
Mentre
storicamente i castelli sono simbolo del nostro travagliato passato (seppur
oggi questo patrimonio straordinario sia quasi del tutto dimenticato se non
addirittura relegato a cumuli di macerie quasi ingestibili, basti pensare a
quello più vicino a casa nostra, il castello di Casalbagliano), queste
architetture rappresentano anche le trasformazioni e le diverse composizioni
delle nostre aree geografiche, sono contenitori di intrighi, alleanze militari
e di guerre altrui combattute a casa nostra e che nei secoli hanno pesantemente
influito sulla nostra cultura (niente a che vedere con le tanto temute correnti
migratorie di oggi), la stessa parola castello
potrebbe essere utilizzata come sinonimo di guerra, invasione, crudeltà,
torture, catene, intrighi di palazzo, vendetta, gelosie, damigelle e cavalieri,
arroganza di signorotti e nobili nei confronti dei più umili. E contenitore di
vampiri, fantasmi, ritratti maledetti, visioni di creature come aliti di vento,
che filtrano tra mura che hanno segnato i destini di tutta l’Europa.
Pertanto,
complimenti agli autori
degli undici racconti che compongono l’antologia Castelli Maledetti (recentemente pubblicata da Nero Press Editore) abili a toccare questi argomenti utilizzando
punti di vista molto diversi tra loro e relativi sbalzi temporali. E senza
andarci troppo cauti nel raccontare le loro storie sempre mantenendosi in punta
di penna. Ingordigia, paura e
scaramanzia in un’epoca ormai lontana hanno trasformano gli uomini in belve
assetate di sangue e del sangue versato si sono nutrite anime dannate che si
agitano inquiete tormentate dalla propria sete di vendetta. Spettri capaci di
insediarsi per l’eternità nei loro luoghi di appartenenza, in equilibrio sul
confine tra vero e fantastico, oltre quel muro che separa la vita
apparentemente immobile e granitica di un castello dall’universo storico che
gli ruota attorno senza sosta. Una pletora di spiriti che non chiedono altro se
non di essere raccontati insieme ai fatti che sconvolsero la loro esistenza
terrena, spiriti che animano queste pagine ma che, forti della loro
discrezione, non osano disturbare chi oggi nei castelli assiste a concerti di
musica classica o lì si sposa, magari con la recondita speranza che qualche
evento sovrannaturale posso animare la cerimonia fino a rendere indimenticabile
il giorno del matrimonio più che la promessa del reciproco amore eterno.
Gli autori di Castelli Maledetti
- Danilo Arona
- Fabrizio Borgio
- Paolo Campana
- Emanuele Delmiglio
- David Ferrante
- Flavia Imperi
- Roberto Masini
- Luigi Milani
- Maico Morellini
- Beppe Roncari
- Laura Scaramozzino